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Ipotesi Metaverso, a Roma la mostra che esplora le nuove frontiere di arte e tecnologia

Ipotesi Metaverso è la mostra promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, nata da un’idea del suo Presidente Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, a Palazzo Cipolla, a Roma curata da Gabriele Simongini e Serena Tabacchi e realizzata da Poema Spa.

Aperta fino al 23 luglio, questa esperienza immersiva ed interattiva è una visione sul futuro ma anche il racconto dell’evoluzione di una dimensione parallela su cui l’uomo si è sempre interrogato.

Licensync ha intervistato i curatori Gabriele Simongini e Serena Tabacchi

  • Com’è nata l’idea di questa mostra all’avanguardia?

GABRIELE SIMONGINI: L’idea della mostra è nata da una telefonata con il Professor Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale, nella quale abbiamo cominciato a riflettere sulle nuove tecnologie e sulle applicazioni delle stesse nell’arte, quindi abbiamo considerato che, da sempre nella storia, gli artisti hanno rappresentato una rottura o hanno visto oltre la quotidianità, per immaginare e creare nuovi mondi. Il Professor Emanuele che è sempre all’avanguardia, rapido e lungimirante, mi ha detto, “perché non realizziamo una mostra?” e abbiamo pensato di costruire questo percorso tra storia e ipotesi del Metaverso, che è un’ipotesi in quanto ancora non compiutamente maturo.

  • La mostra a Roma è aperta fino a luglio, sono previste altre destinazioni italiane e/o internazionali per il 2024?

GABRIELE SIMONGINI: Stiamo lavorando per un’altra tappa italiana probabilmente a Milano, ma soprattutto per portare la mostra all’estero: hanno manifestato grande interesse in Cina, Spagna e Inghilterra. Stiamo anche però immaginando alcuni aggiornamenti, attualmente il percorso storico parte dal barocco, io vorrei, senza dare troppe anticipazioni partire da più lontano con una vera sorpresa.

  • Come siete arrivati a selezionare gli artisti?

SERENA TABACCHI: È stato un lavoro a quattro mani con Gabriele, ci siamo confrontati e interrogati su cosa volesse dire la parola Metaverso, non come la intendiamo oggi, ma cosa potesse essere, anche nel passato, questo pensiero legato ad uno spazio parallelo, virtuale, già presente nella matrice dei sogni o nel mondo dantesco del viaggio. E' un tema ricorrente sul quale, nel corso degli anni e della storia, si sono interrogati i vari artisti. Partendo da questo dialogo tra artisti materici e digitali abbiamo voluto indagare e mettere a confronto le varie correnti artistiche a partire dal '600. E' presente in mostra l’opera di Maratti nella quale attraverso il simbolico sfondamento dei cieli e delle chiese si immagina una possibile realtà, al di là dello spazio sacro. A livello storico temporale l'opera di Maratti è molto significativa di come fosse l’immaginario nel ‘600 di un possibile Metaverso. Se noi fossimo vissuti nel ‘600, quale sarebbe stato il nostro possibile Metaverso? Sicuramente quello che si immaginava quando si pensava all’al di là o ad un mondo parallelo. Abbiamo trattato ampiamente il futurismo con le opere di Balla, Boccioni, De Pero e le abbiamo messe a confronto con alcune opere digitali. C'è un’opera di Zelli che dialoga con un’opera di Joe Pease, artista che vive in America, le due opere ritrovano la stessa anima in una persona sola che attraversa una serie di mondi in continuo divenire, dove a rimanere fissa è la presenza del protagonista. Zelli utilizza superfici trasparenti sulle quali dipinge i differenti strati di questa possibile realtà. I due artisti non si conoscono, probabilmente non sono stati influenzati l’uno dall’altro, ma in qualche modo, dialogano con la stessa idea, ovvero il parallelismo di possibili e molteplici realtà. Abbiamo quindi usato il metodo di creare connessioni tra artisti digitali e artisti fisici, ma soprattutto abbiamo voluto delineare la storia della creazione dei vari Metaversi, che non sono i Metaversi commerciali come li intendiamo, ovvero i social media e le varie piattaforme, ma è il Metaverso artistico, la versione secondo il genio degli artisti, spesso visionari che intercettano il futuro attraverso le loro opere d’arte. E' presente un’opera di Vasarely che dialoga con Krista Kim che è un’altra artista donna, coreana di origine, ma americana di adozione, la quale, attraverso la simbologia legata alla filosofia zen orientale, dialoga con la forma e i colori espressi in maniera più occidentale da Vasarely,  i due artisti - non credo si siano mai conosciuti o abbiano mai dialogato - entrano, in questo caso, in cortocircuito perché si sono avvalsi dell’utilizzo e dello studio di colori e forme per sperimentare possibili realtà, chi su tela, chi in uno spazio virtuale nel quale possiamo immergerci e addirittura volare. Abbiamo creato dialogo e sinergie tra artisti del passato e del presente. Nella prima stanza della mostra troviamo un’opera di Fabio Giampietro, e Paolo di Giacomo, un’altalena, esperienza interattiva e immersiva, attraverso il movimento degli spettatori sull'altalena l’opera viene creata e proiettata su uno schermo, nasce e vive quindi grazie all'interazione del pubblico con la stessa. Questo tunnel all’interno di città possibili dialoga con un’opera di Escher e rimanda anche al video introduttivo alla mostra, di Piranesi, un lavoro che viene riportato anche in realtà 3D nella quale ci si può immergere. La mostra vuole esprimere come gli artisti del passato hanno immaginato questi mondi in 2D, bidimensionali e come invece gli artisti di oggi, digitali, con altri strumenti, hanno creato le condizioni per la nostra interazione con mondi tridimensionali nei quali possiamo entrare, pur stando all’interno del museo. Questo è il filo rosso che lega i vari artisti tra fisici e digitali.

Come correttamente scrive Simongini oggi l’opinione pubblica è divisa tra gli Apocalittici, pessimisti e gli integrati, ottimisti sull’evoluzione del Metaverso e del Machine Learning,

  • La mostra si intitola Ipotesi Metaverso perché secondo voi (curatori) il Metaverso, qualora non sia già nato, potrebbe non nascere mai?
  • Se invece esiste e/o esisterà quanto tempo impiegherà secondo voi a sostituire internet come lo conosciamo?

GABRIELE SIMONGINI: Io penso che il Metaverso nascerà, c’è una ripresa molto importante dovuta anche alla presentazione in questi giorni, negli Stati Uniti, del visore di ultima generazione di Apple che sembra fare un passo avanti in questo senso e, da quello che ho letto, proporrà questa contaminazione quasi inquietante tra immagine reale e immagine virtuale. Mentre nei visori di adesso, quando uno li indossa sei portato in un altro mondo, non vedi più il mondo reale intorno a te, leggevo che, con questo visore, si potrà avere sia la visione realistica dell’ambiente circostante che quella dell’immersione nel Metaverso o nella realtà aumentata, semplicemente con un movimento degli occhi. Io sono convinto che il progresso tecnologico porterà ad una rete globale interconnessa, ma sarà necessario qualche anno perché mancano ancora le infrastrutture tecnologiche, sicuramente si arriverà al Metaverso. La cosa ancora più importante non è solo la corsa al Metaverso, la cosa più importante è che nel frattempo ci attrezziamo psicologicamente, eticamente e giuridicamente per affrontare e non trovarci impreparati di fronte a questo cambiamento che travolgerà le nostre vite, le sconvolgerà sotto certi aspetti, noi non dobbiamo farci trovare impreparati, dobbiamo fin da ora porci dei problemi. La mostra a palazzo Cipolla pone proprio questi problemi, noi ipotizziamo che si deve andare verso una coesistenza equilibrata tra fisico e digitale, in cui il digitale non sostituisca il fisico, come dicono alcuni, ma coesista con l’esperienza fisica, se ciò si realizzasse noi avremmo un arricchimento della nostra esperienza complessiva del mondo, ma è necessario attrezzarsi subito, con dibattiti, incontri, confronti teorici, con una sensibilizzazione collettiva su quello che diventeremo perché è indubbio che antropologicamente la specie umana andrà incontro a grandi cambiamenti.

SERENA TABACCHI: il Metaverso spero e mi auguro non sostituirà mai il mondo come lo conosciamo, perché altrimenti vuol dire che è finito tutto quello che conosciamo della nostra realtà. Saranno spazi nei quali potremo creare un'interazione aumentata dell’esperienza attuale che abbiamo attraverso i social media. Ad oggi la maggior parte delle persone sono immerse e fanno swipe di contenuti, in questo caso la forma artistica può aiutare a creare spazi in cui ci sia il benessere della mente. Non dobbiamo pensare ad uno spazio virtuale in cui chiudere e isolarci e fare esperienze univoche tutt’altro possiamo immaginarlo come uno spazio dove possiamo magari ridurre il nostro impatto sull’ambiente per esempio viaggiando in tutto il mondo, in maniera anche virtuale, e dove potremo conoscere altre realtà e altri luoghi in maniera collettiva, come un’esperienza collettiva. La mia personale visione di Metaverso è legata ad una sostenibilità maggiore ma anche ad un nuovo modo di fare esperienza collettiva. Non credo che il Metaverso sia pronto, oggi, non credo che le società che stanno sviluppando il Metaverso siano le uniche a darci delle risposte ma credo che sia un lavoro in corso d’opera nel quale gli artisti si stanno cimentando e sicuramente possono dare ottimi spunti a tutti coloro che stanno sviluppando progetti tecnici legati allo sviluppo 3D o di realtà aumentata. E' notizia recente l’annuncio dei nuovi visori Apple che permettono l'osservazione del mondo reale con la sovrapposizione di elementi di realtà aumentata. C’è un connubio, un’integrazione tra realtà fisica e la realtà digitale, questo perché credo che nel futuro non andremo ad escludere tutto il mondo che ci circonda, come nella realtà virtuale di Ready Player one. Questa è una fase di Metaverso necessaria per arrivare alla successiva più integrata con quello che ci circonda. Sicuramente gli elementi di sostenibilità e collettività sono necessari, questa è una delle tante ipotesi, le varie versioni degli artisti, il Metaverso visto con i loro occhi.

L’arte ha bisogno di modernizzarsi per sopravvivere, il percorso della mostra accompagna lo spettatore in un viaggio nella storia, tra visionari del passato e avanguardisti del presente,

  • qual è il principale messaggio della nuova frontiera dell’arte applicata alla tecnologia?

GABRIELE SIMONGINI: il principale messaggio è quello più profondo che viene da non molti artisti è che la tecnologia nonostante le sue grandi potenzialità creative deve però rimanere un mezzo, non un fine. Gli artisti tecnologici anche più avanzati in realtà sono consapevoli che la tecnologia deve essere uno strumento mentre oggi c’è un grande rischio secondo quella che è una retorica tecnologica che vediamo applicata anche dai mass media, c’è il rischio che la tecnologia diventi una divinità, diventi una vera e propria religione fine a se stessa, viceversa, come ha insegnato la storia dell’uomo la tecnologia deve essere uno strumento, anche gli artisti più avanzati ci pongono questa questione che è assolutamente fondamentale. È inutile nascondersi nell’ombra, in una foresta e negare tutto quello che inevitabilmente succederà. Io lo dico da conservatore in qualche modo, mi sono reso conto che è inutile negare il progresso la cosa importante è dominarlo questo progresso secondo quello che potremmo definire l’umanesimo digitale. Gli artisti più interessanti e più proiettati nel futuro tra i nuovi artisti digitali sono quelli che però riescono a proporre anche un umanesimo digitale.

SERENA TABACCHI: il messaggio da parte di tutti gli artisti e mi faccio portavoce delle loro opere, è quello di non porsi con pregiudizio nei confronti delle tecnologie, ma di utilizzare quello che è disponibile, di sperimentare e di creare degli stimoli anche per coloro che sviluppano - spesso gli artisti sono anche tecnici, nel caso degli artisti digitali - a creare delle sinergie e visioni possibili nelle quali la vita dell’uomo possa essere agevolata verso una migliore fruizione della vita, del vivere a pieno e quindi anche dell’arte. La tecnologia secondo molti artisti può quindi essere uno strumento di collaborazione e non soltanto di sfruttamento, non si utilizza la tecnologia solo come mezzo, ma come compagno di squadra. Gli artisti utilizzano la tecnologia come se fosse un collaboratore di uno studio artistico, la tecnologia non viene sfruttata, viene messa al pari dell’artista. E’ chiaro che gli artisti sono l’intelligenza creativa e non dobbiamo pensare che l’Intelligenza Artificiale andrà a sostituire il genio di un artista, ma potrà collaborarci. Il messaggio che vuole dare la mostra mira ad evitare che la paura ci porti a negare quello che la tecnologia sta cercando di darci, siamo noi a scegliere come utilizzarla, il nostro input è necessario e fondamentale sia come spettatori della mostra, ma anche come autori e co-partecipanti perché molte opere della mostra sono interattive, e senza la nostra presenza l’opera non vive. La mostra realizza un dialogo nel quale la visione del Metaverso non è distopica ma sicuramente più armonica e più collettiva.

  • Se un nuovo mondo sta nascendo, gli artisti ospiti di Ipotesi Metaverso quali valori vogliono portare e trasferire in questo mondo, secondo voi?

GABRIELE SIMONGINI: stanno trasferendo i valori di eticità, sono dei valori che da un lato ci mettono in allarme, nella mostra non c’è un entusiasmo tecnologico fine a se stesso, se andiamo ad analizzare i vari artisti presenti nella mostra c’è anche un messaggio etico da parte di questi artisti che dicono, state attenti, stiamo attenti su dove stiamo andando. Stiamo andando verso un mondo geneticamente modificato dice Yoldas, che è in mostra con una scultura avveniristica, stiamo andando verso una natura completamente artificiale che sostituirà quella reale dice Primavera de Filippi con il suo Plantoid? Stiamo andando verso una società inquietante dove l’umano rischia di sparire completamente per lasciare spazio a meccanismi automatizzati potentissimi sembra dirci Pak, sto facendo solo esempi. L’aspetto più interessante è che questi artisti non sono ottimisti a tutti i costi che dicono andiamo verso un mondo solo di progresso, di benessere e nuova ricchezza, loro pur usando benissimo la tecnologia ci mettono in guardia su quello che potremmo diventare, mi sembra questo l’aspetto più interessante. Noi abbiamo cercato di evitare, per quanto possibile, quegli artisti digitali che sono superficiali e non mettono in campo una questione o una sensibilità etica lavorano solo sulla spettacolarizzazione, noi abbiamo cercato di proporre artisti che invece si pongono tematiche fondamentali.

La mostra vuole far vivere l’esperienza della dissoluzione sempre più vicina del confine tra reale e virtuale,

  • Come sta reagendo il pubblico?

GABRIELE SIMONGINI: Il pubblico sta reagendo con grande entusiasmo ma soprattutto con un aspetto che dovrebbe essere restituito all’arte, ovvero la capacità di produrre meraviglia, stupore e incanto, cioè la gente entra per lo più attratta dalla parola magica Metaverso e quindi con l’idea di vivere esperienze inconsuete soprattutto con visori, ma non solo, anche con la realtà immersiva con l’opera di Refik Anadol; quindi, questo è quello che attrae e che porta qualcuno ad entrare. Poi abbiamo visto che quando si trovano davanti il cortocircuito tra l’opera fisica storica e l’opera digitale che molta gente non si aspettava in realtà di trovare, rimangono incantati, rimangono stupefatti e non nascondo che alcuni dicono bellissime le opere digitali, affascinanti, ma io preferisco però Piranesi, preferisco però Escher: solo per fare due nomi. Ad esempio sono tutti incantati dall’introduzione alla mostra in cui viene proposta una stampa con le carceri di invenzione di Piranesi originale e due metri dopo c’è un video di animazione che ti porta a camminare dentro le carceri, è un’introduzione che rapisce tutti, insomma in poche parole, grandissimo entusiasmo, all’inizio si entra soprattutto per la parola magica Metaverso poi si scopre invece che anche le novità più assolute come il Metaverso hanno delle radici storiche e i visitatori rimangono sorpresi e capiscono che tutto inizia con il barocco e con Piranesi.

SERENA TABACCHI: Il pubblico in realtà è molto divertito, tutte le persone che lasciano la mostra, la lasciano con alcuni interrogativi su come funziona questa tecnologia e come la possiamo usare, dato che oggi questi strumenti sono accessibili, con un ciclo di vita molto rapido ma allo stesso tempo ci mettono davanti ad un dialogo culturale necessario tra opere del passato e opere del presente ma futuristiche. Questo dialogo è stato funzionale alla conoscenza, all’esplorazione e al vivere una mostra in maniera interattiva e più ludica, dove non siamo soltanto visitatori passivi ma attiviamo tutti i nostri sensi e non vediamo più un quadro o una scultura con quella mentalità statica da spettatore educato, ma cerchiamo di interagirci, c’è un avvicinamento all’arte.

  • Nella nuova frontiera della tecnologia, anche 5G, applicata all’arte opere come quella di Primavera De Filippi e Sofia Crespo sul rinnovato dialogo tra esseri umani e natura, o di Alex Braga e Refik Anadol sulla sovrapposizione tra reale e fisico, quanto sono energivore?

GABRIELE SIMONGINI: non hanno particolari consumi le opere come quella di Primavera de Filippi, l’opera che ha un consumo maggiore è quella di Refik Anadol, il full screen hd di ultima generazione di quasi 50 metri quadrati, consuma. Una frontiera futura è quella di produrre opere che abbiano un impatto ambientale sempre inferiore, la domanda pone un altro obiettivo nell’uso di queste tecnologie, quello di consumare sempre meno, questo è un altro passo in avanti da fare.

SERENA TABACCHI: Per quanto riguarda la blockchain fortunatamente, dallo scorso anno, è avvenuto il famoso merge che ha ridotto le operazioni di calcolo legate a tecnologia blockchain quasi del 99%. Se parliamo di blockchain e utilizziamo Ethereum o altre side chain, possiamo dire che il consumo corrisponde ad un frigorifero, nella migliore delle ipotesi anche ad una lampadina, quindi si è ridotto notevolmente e in pochi anni. Per quanto riguarda le tecnologie dei ledwall o degli schermi, corrispondono alle tecnologie che abbiamo nelle nostre abitazioni per i monitor. Ad avere il consumo più elevato sono i ledwall non l’opera digitale in sé, l'opera di Anadol infatti viene generata con degli algoritmi dallo studio di Refik e utilizza degli algoritmi, software rilasciati da Invidia, la generazione dell’opera d’arte non è energivora. La fruizione su grandi schermi lo è, così come lo è un cartellone pubblicitario su ledwall, sarebbe quindi da farsi una domanda sulla sostenibilità dell’utilizzo di sistemi elettronici a larga scala. Abbiamo anche molti proiettori che hanno un impatto ridotto, molte delle opere digitali sono su monitor a basso consumo o su proiettori, abbiamo cercato di bilanciare il consumo energetico per realizzare una mostra più sostenibile.

Negli Stati Uniti sono uscite le linee guida per la registrazione delle opere realizzate con il contributo dell’AI, presso il Copyright Office di Washington. Solo i contenuti frutto dell’opera di ingegno umana possono veder riconosciuto il diritto d’autore. Quando l’artista turco Refik Anadol espone al Moma la rielaborazione, attraverso AI, delle opere di Picasso, l’elaborazione autorizzata dà origine a un’opera nuova, inedita, elaborata da Anadol. L’opera di Anadol però è il risultato della combinazione del quadro preesistente e degli algoritmi software,

  • Chi è Anadol, secondo voi, un artista o potrebbe essere riconosciuto, nei futuri possibili, un programmatore/sviluppatore del software?

GABRIELE SIMONGINI: La problematica è molto interessante, il riutilizzo di opere d’arte già esistenti è una problematica difficile perché pensiamo che nella storia dell’arte ci sono sempre stati plagiatori. Picasso è stato uno dei più grandi plagiatori, lui stesso si definisce così, uno dei più grandi cannibali dell’arte, Picasso stesso in fin dei conti ha ripreso e rielaborato e frantumato capolavori di Manet o di Goya e li ha ricreati. Allora è vero che qui si usa l’intelligenza artificiale, ma Refik Anadol io davvero lo considero un artista non un semplice programmatore perché in realtà lui è arrivato a creare quella che definisce una data painting, cioè lui ha la mentalità del pittore che però non crea con il pigmento pittorico, ma crea con i dati, con le immagini trasformate in dati, ma in realtà lui crea una sostanza trasformata in dati che per lui è il corrispettivo del pigmento pittorico tradizionale, quindi io lo considero artista non lo vedo programmatore del futuro. Però è anche vero che questo accade in casi più importanti come Refik Anadol; invece, devo dire che è da porsi il problema di tanti pseudo artisti digitali che sono come nani sulle spalle dei giganti, cioè che effettivamente saccheggiano e banalizzano capolavori del passato spacciandoli per nuove opere quando invece la povertà contenutistica, tematica, di ricerca è evidente, quindi certamente dobbiamo stare con gli occhi aperti. Io devo dire la verità per tanto tempo mi sono tenuto lontano dalle ricerche digitali perché ho visto tantissime mostre e tantissimi artisti digitali che reputo davvero poco più che programmatori o grafici ma non artisti ho trovato davvero una superficialità, una corsa alla novità povera di contenuti, noi abbiamo cercato di individuare gli artisti, non tecnici, ma la tematica del diritto d’autore è sicuramente fondamentale.

SERENA TABACCHI: Refik mi sento di dire che è un artista nel modo in cui concepisce le opere, nel modo in cui legge la realtà, seleziona i dati e attraverso gli algoritmi crea le opere d’arte in collaborazione con l’intelligenza artificiale. Sicuramente ha delle ottime basi di programmazione software, sicuramente è una persona polivalente che ha più competenze in vari settori. Condivido a pieno la riflessione di alcuni artisti che durante le ultime premiazioni per la fotografia Sony o per un concorso d’arte in America, hanno rifiutato il premio stesso avendo partecipato alla gara con un’opera generata con IA. Per loro era una challenge per capire se la giuria fosse in grado di riconoscere un'opera generata con IA. Gli artisti stessi hanno dichiarato che l’opera non era frutto delle proprie capacità ma del proprio intuito e interesse o curiosità nel voler creare una serie di parole, di contesti, di immagini, come se l’artista fosse un curatore piuttosto che come lo immaginiamo, con il pennello e scalpello. L'artista spesso ha, in questa veste, un’esperienza curatoriale e tecnica più che artistica. Credo che il concetto di diritto d’autore di questa nuova forma artistica sia ancora da definirsi, concordo con quello che è stato stabilito in America e ritengo che vada dichiarato quale algoritmo venga utilizzato. Ma l’espressione, la scelta di quello che noi andiamo a selezionare per la creazione di un’opera d’arte è comunque intelletto dell’artista, io parlerei di collaborazione tra uomo e algoritmo, perché l’input umano deve esserci sempre altrimenti l’algoritmo può generare in maniera randomica, ma senza un input umano non parliamo di arte parliamo di tecnologia, di esperimenti.

  • Donne, arte e tecnologia qual è oggi la situazione?

SERENA TABACCHI: il gap si sta riducendo con gli anni, ma ci sono una serie di difficoltà date dal fatto che una donna spesso ha anche più impegni legati alla propria fisicità, al proprio stile di vita, questo è un dato di fatto e non è solo valido nel settore dell’arte. Però devo dire che, a livello artistico e non solo ma anche economico e politico assistiamo ad un aumento della presenza femminile, penso al Parlamento Europeo, alle artiste, molte di loro sono anche molto più tecniche. Per esempio in mostra abbiamo esposta Primavera de Filippi che è una ricercatrice, insegna al MIT , ha creato un’opera d’arte, prima nel suo genere, che non è solo un’opera blockchain fisica, ma è anche la prima opera che si autoalimenta, la prima opera DAO, che vuol dire un’Organizzazione Autonoma Decentralizzata, mai esistita, che crea se stessa da questo plantoide, ovvero una pianta meccanica, che opera in ambiente digitale, invece di nutrirsi attraverso l’acqua o comunque concime, si nutre attraverso delle transazioni fatte da coloro che vogliono interagire con l’opera d’arte e una volta raggiunto un determinato numero di transazioni ne genera un’altra. C’è anche Sofia Crespo in mostra che insieme al suo compagno ha formato la coppia artistica, Entangled Others, anche lei è una delle primissime a lavorare con strumenti di intelligenza artificiale attraverso i quali ha creato queste forme di vita possibili, possibilista,  in cui  biologia marina, flora e fauna, AI e neuroscienze vanno ad ipotizzare delle creature che in qualche modo possono esistere o magari sono esistite.  L'utilizzo della conoscenza  legata alla biologia e all’IA ha fatto di lei una delle primissime donne che hanno introdotto attraverso TED Talk l’argomento legato all’IA, ora è a Berlino però ha viaggiato moltissimo, da molto giovane e si è fatta da sé, poi ha incontrato il suo compagno. Oggi vedo molte donne impegnate nello studio di strumenti tecnici, abbiamo persone che studiano, cercano e divulgano come me, ma anche tante donne artiste. Un’altra donna in mostra che si chiama Sasha Styles sta avendo un successo internazionale notevole perché ha creato la poesia generativa. Ha fatto sì che la poesia, che normalmente non è una forma artistica presente nell’arte contemporanea, venga messa al centro dell’opera d’arte digitale. Attraverso l’utilizzo di reti neurali è riuscita a far sì che la poesia potesse essere collezionata e disposta come opera d’arte a sé, nella mostra ci sono due proiezioni che fanno da rimbalzo a questa opera d’arte immersiva. Di certo le donne sono in numero inferiore ma  sono fiduciosa del fatto che c’è più disponibilità di mezzi per loro. Io credo che questo sia un problema che vada affrontato a livello di educazione, non possiamo più dire non ci sono donne artiste a sufficienza come si faceva 15 anni fa in altri paesi anglosassoni, quel problema lì è stato risolto, ora si parla di fluidità, di genderless, non si va a dire uomini e donne o altre categorie ma chiunque sia qualitativamente interessante e abbia un background diverso dalla maggioranza degli artisti nel paese in cui viene esposto, può essere considerato valido per rappresentanza di genere. Io vorrei che arrivassimo a questo punto qui, sicuramente la rappresentanza di genere, di più donne deve essere necessaria, siamo 10-15 anni indietro rispetto ad altri paesi in Europa e America, ma 15 anni avanti rispetto ad altri Stati dove le donne non possono ancora nemmeno creare arte o essere legittimamente chiamate artiste. Il mondo è vario con tante sfaccettature, siamo qui per lavorarci e sicuramente uno dei miei ruoli in questi ultimi anni è stato quello di rendere questa conoscenza accessibile in maniera fruibile da tutti, work in progress dall’educazione, alla famiglia, alle istituzioni pubbliche dobbiamo continuare a lavorarci.

Ringraziamo i curatori per la disponibilità e la Fondazione Terzo Pilastro Internazionale per la possibilità di esplorare le nuove frontiere dell'arte.

Stay tuned continuano gli approfondimenti Licensync per la rubrica Arte e Tecnologia!

© di R. Bonani

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